La sua attenzione riempì il buco che avevo al centro di me stessa.
Ritornai l’indomani. E l’indomani ancora. Smisi di cercare lavoro. Contava solo lui che li guardava. Ero pronta a crollare, se si fosse giunti a quello.
Ogni volta era uguale.
Parlava di ciò che voleva fare.
Gli dicevo che avrei fatto tutto quello di cui aveva bisogno.
Bevevamo caffè.
Non parlavamo mai del passato.
Lui apriva la canna fumaria.
Nell’altra stanza gli uccelli cantavano.
Mi spogliavo.
Lui mi metteva in posa.
Mi scolpiva.
Qualche volta pensavo a quelle cento lettere sparpagliate sul pavimento della mia stanza da letto. Se non ne avessi avute la nostra casa, bruciando, avrebbe fatto meno luce?
Nell’altra stanza cantavano gli uccelli.
Stavamo cercando un compromesso accettabile.
La settimana dopo mi fece sollevare le gambe, e quella dopo ancora venne dietro di me. Era la prima volta che facevamo l’amore. Avevo voglia di piangere. Mi chiesi: Ma perché mai la gente fa l’amore?
Guardai la statua incompiuta di mia sorella, e la ragazza incompiuta ricambiò il mio sguardo.
Ma perché mai la gente fa l’amore?
Camminammo insieme fino alla panetteria del nostro primo incontro.
Insieme e separatamente.
Ci sedemmo a un tavolo. Sullo stesso lato, verso le vetrine.
Non avevo bisogno di sapere se lui poteva amarmi.
Dovevo sapere se poteva avere bisogno di me.
Andai alla prima pagina bianca del suo taccuino e scrissi: Sposami ti prego.
Lui guardò le sue mani.
SI e NO.
Ma perché mai la gente fa l’amore?
Prese la penna e scrisse sulla pagina successiva, l’ultima: niente figli.
Fu la nostra prima regola.
Capisco, gli dissi in inglese.
Non parlammo mai più in tedesco.
Dopo una settimana tuo nonno e io eravamo sposati.
Quella sera, mentre papà mi rimboccava le coperte e stavamo parlando del libro, gli avevo chiesto se non gli veniva in mente una soluzione a quel problema. “Quale problema?” “ Il problema che siamo relativamente insignificanti.” Lui mi ha detto: “Mah… cosa succederebbe se un aereo ti lasciasse al centro del deserto del Sahara, e tu raccogliessi un singolo granello di sabbia con le pinzette e lo spostassi di un millimetro?” Ho risposto: “Probabilmente, morirei disidratato”. E lui: “No, intendo solo in quel momento, quando sposti il granello. Cosa vorrebbe dire?” “Non lo so. Cosa?” Lui mi ha detto: “Pensaci”. Ci ho pensato. “Credo che avrei spostato un granello di sabbia.” “E questo significherebbe che…?” “Il fatto che ho spostato un granello di sabbia?” “Significherebbe che hai cambiato il Sahara.” “E allora?” “ Allora? allora, il Sahara é un grande deserto ed esiste da milioni di anni. E tu lo avresti cambiato!” “ E’ vero!” ho detto alzandomi a sedere. “ Avrei cambiato il Sahara” “E significherebbe che…?” Mi ha chiesto ancora lui. “ Cosa? Dimmelo tu” “ Be’ non sto parlando di dipingere la gioconda o di sconfiggere il cancro, ma solo di spostare di un millimetro quell’unico granello di sabbia.” “E allora?” “Se non l’avessi fatto la storia dell’uomo sarebbe andata in un modo.” “Si?” “Ma tu lo hai fatto…?” Mi sono alzato in piedi sul letto, ho puntato le dita verso le finte stelle e ho gridato: “Ho cambiato il corso della storia dell’uomo!” “ Proprio così.” “Ho cambiato l’universo!” “Esatto”. “Sono Dio!” “Sei ateo.” “Non esisto!” Mi sono ributtato sul letto, tra le sue braccia, e ci siamo scompisciati tutti e due.
L’aeroporto era pieno di gente che andava e veniva. ma c’eravamo solo tuo nonno ed io.
Presi il suo quaderno e cercai tra le pagine. Indicai: Che frustrazione, che cosa patetica, che tristezza.
Lui cercò nel diario e indicò: il modo in cui mi ha dato quel coltello.
Io indicai: Se fossi stato un altro in un mondo diverso avrei fatto qualcosa di diverso.
Lui indicò: A volte uno ha voglia di sparire e basta.
Io indicai: Non c’è niente di male a non capire se stessi.
Lui indicò: Che tristezza.
Io indicai: E non direi di no a qualcosa di dolce.
Lui indicò: Pianse, pianse, pianse.
Io indicai: Non piangere.
Lui indicò: A pezzi e frastoranti.
Io indicai: Che tristezza.
Lui indicò: A pezzi frastornati.
Io indicai: Qualcosa.
Lui indicò: Niente.
Io indicai: Qualcosa.
Nessuno indicò: Ti amo.
Non c’era modo di girarci attorno. Non potevamo scalarlo, né camminare fino a trovarne il confine.
Che rimpianto, pensare che serve una vita per imparare a vivere una vita, Oskar. Perché se potessi rivivere la mia vita mi comporterei diversamente.
Cambierei la mia vita.
Bacerei il maestro di pianoforte anche se rideva di me.
Salterei sul letto con Mary, anche a costo di rendermi ridicola.
Manderei in giro le brutte fotografie, a centinaia.
Cosa faremo? Scrisse lui.
Dipende da te, dissi.
Lui scrisse: Voglio andare a casa.
Cos’è casa per te?
Casa è il posto con più regole.
Io lo capivo.
E dovremo fissare altre regole, dissi.
Per renderla più casa.
Sì.
Va bene.
– Capraeeeeelefante