L’arte, opera teogonica

l'arte, opera teogonica

Da sempre all’arte sono state attribuite proprietà al confine col mistico, la capacità di innalzare l’animo dell’uomo ai confini dello spirito, nelle regioni dell’assoluto. D’altronde non è un caso che in uno dei miti più importanti della storia della civiltà occidentale (nonché fondante del movimento religioso noto come Orfismo), quello di Orfeo ed Euridice, il protagonista Orfeo ottenga dagli dei il divino privilegio di visitare il mondo dei morti per riportare la propria amata Euridice tra i vivi esclusivamente per la sua abilità nella musica e nella poesia, uniche facoltà capaci di portare l’umano a contatto col divino.
In filosofia il primo a intuire le potenzialità gnoseologiche dell’arte (distinta dalla tecnica) fu Platone, che riconobbe nell’arte icastica (realistica) e non fantastica le potenzialità per educare l’uomo allo studio e alla conoscenza della bellezza fisica (intesa come intuizione nella natura di perfetta armonia e proporzioni). L’arte figurativa e la musica in Platone non avevano però solo un ruolo propedeutico e introduttivo allo studio filosofico delle idee (che era ciò che realmente interessava il filosofo di Atene), in quanto è infatti possibile trovare un’ulteriore rivalutazione dell’opera artistica come attività semidivina che avvicina l’artista (che intuisce la perfezione nascosta nella realtà materiale e la riporta nella sua opera) alla figura del demiurgo (ente metafisico che plasma la materia a imitazione della perfezione manifesta del mondo delle idee).
Un significato simile a quest’ultimo fu attribuito all’attività artistica dal filosofo neoplatonico Marsilio Ficino, che riprendendo dal neoplatonismo di Plotino la concezione di mondo come emanazione dell’Uno, identificò il logos demiurgico che vivifica la materia e la plasma a forma delle idee perfette con l’eros, forza mediatrice tra spirito e materia, il cui strumento prediletto è la bellezza. Il mondo è quindi una grande opera d’arte realizzata da Dio (concetto questo che sarà ripreso da Galileo, secondo cui Dio scrisse la natura in termini matematici), intuirne e imitarne la bellezza è dunque una delle facoltà che più nobilita l’uomo e lo avvicina al suo sommo creatore. In Ficino più che in Platone l’arte assume una propria dignità gnoseologica indipendente dalla conoscenza filosofica, presupposto questo per l’estetismo come culto della bellezza e dell’arte fine a se stessa.
Il rapporto tra estetica e divinità fu poi evidenziato in modo diverso da Immanuel Kant nella Critica del Giudizio, nella quale il filosofo prussiano sostiene che giudizio estetico (che concerne il bello, ed è quindi inerente all’arte) e giudizio teleologico (che riconosce la finalità della natura come espressione della divinità) appartengano entrambi alla categoria dei giudizi riflettenti, ossia quei giudizi privi di valore conoscitivo e morale, che non ineriscono a proprietà appartenenti alla realtà, ma al rapporto tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente (bello e finalità non sono quindi intrinseci all’universo, ma sono solo riconoscibili dal soggetto).
Fu però forse Friedrich Schelling colui che più diede importanza all’arte, reputando l’attività di produzione artistica come unica espressione dell’Assoluto, essenza dell’universo, identità tra Natura (l’ispirazione inconscia che soggiunge all’artista) e Spirito (l’opera compiuta consciamente dall’artista). Così l’uomo è l’unico ente capace di portare a compimento la somma sintesi e riportare nell’unità dell’Assoluto i due poli opposti il cui scontro è essenza del divenire universale, e questo anello di congiunzione tra conscio e inconscio, Spirito e Natura, consiste proprio nell’artista, figura profetica tra umano e divino.
Tale capacità unificatrice fu attribuita dal giovane Friedrich Nietzsche al popolo greco presocratico, capace di unire i due poli della realtà, apollineo e dionisiaco, razionale e irrazionale, nell’opera artistica della rappresentazione tragica, in cui la commistione tra l’aulicità del coro e la tragicità della scena recitata permette l’accettazione dell’insopportabile coscienza della natura duale della realtà, propria solo dell’oltreuomo, essere che trascende i limiti e il nichilismo del monismo umano e accetta l’esistenza come continuo scontro di polarità.
L’arte quindi si conferma come strumento che permette all’uomo il transumanare dantesco e il raggiungimento dello stato di divinità, ma questo solo se essa si propone di essere il pugnale volto a squarciare il velo di Maya e rivelare la vera natura delle cose.

– Riccardo Costantini

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