Poesie // Saffo

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“Alcuni di cavalieri un esercito, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla nera terra
sia la cosa più bella, mentre io ciò che
uno ama.
Tanto facile è far capire
questo a tutti, perché colei che di molto superava
gli uomini in bellezza, Elena, il marito
davvero eccellente
lo abbandonò e se ne andò a Troia navigando,
e né della figlia, né dei cari genitori
si ricordò più, ma tutta la sconvolse
Cipride innamorandola.

E ora ella, che ha mente inflessibile,
in mente mi ha fatto venire la cara
Anattoria, che non mi è
vicina.
Potessi vederne il seducente passo
e il lucente splendor del volto
più che i carri dei Lidi e, in armi,
i fanti. ”

“Eros ha squassato il mio cuore, come raffica che irrompe sulle querce montane…”

Amanda-Brewster-Sewell,-Saffo,-1891
“A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
E ridi di un riso che suscita desiderio.
questa visione veramente
mi ha turbato il cuore nel petto:
appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,

Ma la lingua si spezza, e subito
un fuoco sottile mi corre sotto la pelle,
e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie
E su me sudore di spande e un tremito mi afferra tutta
e sono più verde dell’erba
e non lontana da morte sembro a me stessa
Ma tutto si può sopportare, poiché… “

“Non presumo di toccare il cielo…”

“O signore, (non ho proprio paura). No, per la dea…, non mi piace affatto essere troppo agitata (dalle ansie). Mi vince il desiderio di morire e di vedere le rive rugiadose di Acher(onte) fiore di loto.”

“Spesso ella si aggira punta dal ricordo e consuma il suo fragile cuore nel desiderio…”

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“… sinceramente vorrei essere morta. Lei mi lasciava piangendo
a lungo, e così mi disse: “Ah! Che pene spaventose
soffriamo, o Saffo. Davvero contro il mio volere ti lascio”.
Ed io così le rispondevo: “Va’ e sii felice e di me serba
memoria: tu sai quanto ti volevamo bene;

ma se non ricordi, allora io voglio farti ricordare
… tutti i momenti … e belli che abbiamo vissuto insieme:
(ché) accanto a me tu ponesti (sul tuo capo molte corone) di viole e di rose e di crochi
e intorno al collo delicato molte collane conserte fatte di fiori (incantevoli)
e con unguento floreale … e regale ti profumasti
e su morbidi giacigli … delicat- … placavi il desiderio …
e non c’era (festa) né sacrificio né … da cui noi fossimo assenti,
non bosco, non danza … fragore (dei crotali) …”

“(Sposa): Verginità, verginità, perchè mi lasci? Dove vai tu?
(Verginità): Mai più tornerò da te, mai più tornerò”

“È tramontata la luna con le Pleiadi, la notte è al mezzo, il tempo trascorre, e io dormo
sola…”

– Capraeeeeelefante

Jack frusciante è uscito dal gruppo // Enrico Brizzo

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Adelaide non capirà mai. Nessuno capirà mai, ma a lei vorrei cantarlo fino a farla entrare davvero nel mio mondo. Se fossi sicuro che è con me, non avrei paura né dell’America né del futuro né della morte. In definitiva, sono io un pazzo? Sono io all’inizio di una strada che non porta da nessuna parte? Sono io all’inizio di una strada che porta in alto? Sono io nel gruppo? Sono io fuori dal gruppo? Sono io nel libro? Sono io fuori dal libro? Sono io innamorato di Aidi? Sarei felice, con lei, se non dovesse partire per l’America, o tutto quel che di bello sta succedendo è solo per la fretta di avere poco, pochissimi giorni, a disposizione? Siate pronti poiché non sapete né il giorno né l’ora.

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“Alla fine ognuno cerca di far muovere gli altri nel suo personale teatrino. Il peggio è che io farò precisamente tutte questo cose, tutto quel che si aspettano da me, un gesto dopo l’altro, in fila, per vivere anche nelle loro scenette squallide o banali o tragiche e poi riderne da solo, ma farò tutto quel che vogliono, perché l’unico modo che ho di sentirmi vivo è cambiar continuamente e fare sempre delle cavolo di recite.” (Dall’Archivio Magnetico del Signor Alex D.)
(Se uno con una ragazza ci sta veramente bene, deve essere difficile trovare qualcuno che vi faccia una foto senza rovinare tutto dicendovi che non sorridete abbastanza. Bisogna fare molta cautela, con chi è felice.)
Voglio dire: e i cazzi di sette e mezzo in latino, per esempio, che da semplici strumenti sono diventati una specie di fine ultimo? … Insomma, a quanto ne so dovrei studiare per strappare un titolo di studio che a sua volta mi permetta di strappare un buon lavoro che a sua volta mi consenta di strappare abbastanza soldi per strappare una qualche cavolo di serenità. […] Cioè uno dei fini ultimi è questa cavolo di serenità martoriata. E allora perché dovrei sacrificare i momenti di serenità che mi vengono incontro spontaneamente lungo la strada? La realtà è che mi trovo costretto a sacrificare il me diciassettenne felice di oggi pomeriggio a un eventuale me stesso calvo e sovrappeso, cinquantenne soddisfatto.

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E allora, perché cavolo i suoi occhi sono così – come dire – sono così lustri, mentre per l’ultima volta scende come un Girardengo appena appena più basso e rock per la via Codivilla?
Comunque, no, mica piange. Ha solo gli occhi un pochino lustri per via dell’enorme velocità, è chiaro. Okay. È anche perché quel figlio di puttana del piccolo principe ha addomesticato la volpe. E poi, forse, perché magari sta pensando che dei due pirati, adesso, qualcosa è come stesse andando un po’ via per sempre. Sapete come ragionano certi ciclisti sentimentali, alle volte. Magari sta giusto pensando che determinate cose, nella vita dell’Uomo, possono succedere una volta sola. Sì, insomma, potrebbe farlo.
Comunque no, non piange mica. E poi è un Girardengo, kazzo…

– Capraeeeeelefante

Molto forte incredibilmente vicino // Jonathan Safran Foer

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La sua attenzione riempì il buco che avevo al centro di me stessa.
Ritornai l’indomani. E l’indomani ancora. Smisi di cercare lavoro. Contava solo lui che li guardava. Ero pronta a crollare, se si fosse giunti a quello.
Ogni volta era uguale.
Parlava di ciò che voleva fare.
Gli dicevo che avrei fatto tutto quello di cui aveva bisogno.
Bevevamo caffè.
Non parlavamo mai del passato.
Lui apriva la canna fumaria.
Nell’altra stanza gli uccelli cantavano.
Mi spogliavo.
Lui mi metteva in posa.
Mi scolpiva.
Qualche volta pensavo a quelle cento lettere sparpagliate sul pavimento della mia stanza da letto. Se non ne avessi avute la nostra casa, bruciando, avrebbe fatto meno luce?
Nell’altra stanza cantavano gli uccelli.
Stavamo cercando un compromesso accettabile.
La settimana dopo mi fece sollevare le gambe, e quella dopo ancora venne dietro di me. Era la prima volta che facevamo l’amore. Avevo voglia di piangere. Mi chiesi: Ma perché mai la gente fa l’amore?
Guardai la statua incompiuta di mia sorella, e la ragazza incompiuta ricambiò il mio sguardo.
Ma perché mai la gente fa l’amore?
Camminammo insieme fino alla panetteria del nostro primo incontro.
Insieme e separatamente.
Ci sedemmo a un tavolo. Sullo stesso lato, verso le vetrine.
Non avevo bisogno di sapere se lui poteva amarmi.
Dovevo sapere se poteva avere bisogno di me.
Andai alla prima pagina bianca del suo taccuino e scrissi: Sposami ti prego.
Lui guardò le sue mani.
SI e NO.
Ma perché mai la gente fa l’amore?
Prese la penna e scrisse sulla pagina successiva, l’ultima: niente figli.
Fu la nostra prima regola.
Capisco, gli dissi in inglese.
Non parlammo mai più in tedesco.
Dopo una settimana tuo nonno e io eravamo sposati.

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Quella sera, mentre papà mi rimboccava le coperte e stavamo parlando del libro, gli avevo chiesto se non gli veniva in mente una soluzione a quel problema. “Quale problema?” “ Il problema che siamo relativamente insignificanti.” Lui mi ha detto: “Mah… cosa succederebbe se un aereo ti lasciasse al centro del deserto del Sahara, e tu raccogliessi un singolo granello di sabbia con le pinzette e lo spostassi di un millimetro?” Ho risposto: “Probabilmente, morirei disidratato”. E lui: “No, intendo solo in quel momento, quando sposti il granello. Cosa vorrebbe dire?” “Non lo so. Cosa?” Lui mi ha detto: “Pensaci”. Ci ho pensato. “Credo che avrei spostato un granello di sabbia.” “E questo significherebbe che…?” “Il fatto che ho spostato un granello di sabbia?” “Significherebbe che hai cambiato il Sahara.” “E allora?” “ Allora? allora, il Sahara é un grande deserto ed esiste da milioni di anni. E tu lo avresti cambiato!” “ E’ vero!” ho detto alzandomi a sedere. “ Avrei cambiato il Sahara” “E significherebbe che…?” Mi ha chiesto ancora lui. “ Cosa? Dimmelo tu” “ Be’ non sto parlando di dipingere la gioconda o di sconfiggere il cancro, ma solo di spostare di un millimetro quell’unico granello di sabbia.” “E allora?” “Se non l’avessi fatto la storia dell’uomo sarebbe andata in un modo.” “Si?” “Ma tu lo hai fatto…?” Mi sono alzato in piedi sul letto, ho puntato le dita verso le finte stelle e ho gridato: “Ho cambiato il corso della storia dell’uomo!” “ Proprio così.” “Ho cambiato l’universo!” “Esatto”. “Sono Dio!” “Sei ateo.” “Non esisto!” Mi sono ributtato sul letto, tra le sue braccia, e ci siamo scompisciati tutti e due.

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L’aeroporto era pieno di gente che andava e veniva. ma c’eravamo solo tuo nonno ed io.
Presi il suo quaderno e cercai tra le pagine. Indicai: Che frustrazione, che cosa patetica, che tristezza.
Lui cercò nel diario e indicò: il modo in cui mi ha dato quel coltello.
Io indicai: Se fossi stato un altro in un mondo diverso avrei fatto qualcosa di diverso.
Lui indicò: A volte uno ha voglia di sparire e basta.
Io indicai: Non c’è niente di male a non capire se stessi.
Lui indicò: Che tristezza.
Io indicai: E non direi di no a qualcosa di dolce.
Lui indicò: Pianse, pianse, pianse.
Io indicai: Non piangere.
Lui indicò: A pezzi e frastoranti.
Io indicai: Che tristezza.
Lui indicò: A pezzi frastornati.
Io indicai: Qualcosa.
Lui indicò: Niente.
Io indicai: Qualcosa.
Nessuno indicò: Ti amo.
Non c’era modo di girarci attorno. Non potevamo scalarlo, né camminare fino a trovarne il confine.
Che rimpianto, pensare che serve una vita per imparare a vivere una vita, Oskar. Perché se potessi rivivere la mia vita mi comporterei diversamente.
Cambierei la mia vita.
Bacerei il maestro di pianoforte anche se rideva di me.
Salterei sul letto con Mary, anche a costo di rendermi ridicola.
Manderei in giro le brutte fotografie, a centinaia.
Cosa faremo? Scrisse lui.
Dipende da te, dissi.
Lui scrisse: Voglio andare a casa.
Cos’è casa per te?
Casa è il posto con più regole.
Io lo capivo.
E dovremo fissare altre regole, dissi.
Per renderla più casa.
Sì.
Va bene.

– Capraeeeeelefante

Demian // Herman Hesse

“A casa non si arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra.”

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“Eppure, non volevo tentare di vivere se non ciò che spontaneamente erompeva da me, era mai tanto difficile? I poeti, quando scrivono romanzi, si comportano come se fossero Dio e potessero abbracciare con lo sguardo la storia di un qualche uomo, come se Dio la narrasse a sé stesso, senza veli, e del tutto veritiera. Io non posso, come non possono gli scrittori. La mia storia però ha per me più importanza di quanta non ne abbia per qualche scrittore la sua; infatti è la mia, la storia di un uomo, non inventato e possibile, non ideale o in qualche modo non esistente, ma di un uomo vero, unico, di un uomo che vive. Certo che cosa sia un uomo realmente vivo si sa oggi meno che mai, e perciò si ammazzano gli uomini in grandi quantità, mentre ognuno di essi è un tentativo prezioso è unico della natura. Se non fossimo qualcosa in più di uomini unici, se si potesse veramente togliere di mezzo ognuno di noi con una pallottola, non ci sarebbe ragione di raccontare storie. Ogni uomo però non è soltanto lui stesso; è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una volta sola, senza ripetizione. Perciò la storia di ogni uomo è importante, eterna, divina, perciò ogni uomo fintanto che vive in qualche modo e adempie il volere della natura è meraviglioso e degno di attenzione. In ognuno lo spirito ha preso forma, in ognuno soffre il creato, in ognuno si crocifigge un Redentore. Oggi pochi sanno che cosa sia l’uomo. Molti lo sentono e perciò muoiono con maggior facilità, come io morirò più facilmente quando avrò finito di scrivere questa storia. Non posso dire di essere un sapiente. Fui un cercatore e ancora lo sono, ma non cerco più negli astri e e nei libri: incomincio a udire gli insegnamenti che fervono nel mio sangue. La mia storia non è amena, non è dolce e armoniosa come le storie inventate, sa di stoltezza e confusione, di follia e sogno, come la vita di tutti gli uomini che non intendono più mentire a se stessi. La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità.”

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“Certo, io credo” proseguì Demian “che la storia di Caino si possa intendere anche diversamente. La maggior parte delle cose che ci insegnano sono vere e giuste, ma si possono guardare anche da un altro lato, diverso da quello dei maestri, e allora acquistano per lo più un significato migliore. A proposito di Caino e del marchio sulla fronte, non si può rimanere soddisfatti della spiegazione che ci danno. Non ti pare? Che uno ammazzi il fratello in una lite può capitare certamente ed è anche possibile che poi prenda paura e si dia per vinto. Ma che per la sua vigliaccheria riceva un marchio che lo protegge e spaventa tutti gli altri, è proprio strano.”
“Giusto” approvai con interesse. La faccenda cominciava a prendermi. “Ma quale altre spiegazione si può dare?”
“Semplice. Ciò di cui si trattava, l’elemento col quale la storia ebbe inizio era il marchio. C’era un uomo che aveva in faccia qualche cosa che agli altri incuteva paura. Essi non osavano toccarlo, metteva soggezione, lui e i suoi figli. forse, anzi di sicuro, non era vero e propri segno in fronte, come un timbro postale; è difficile che la vita operi in modo così rozzo. Doveva essere piuttosto qualche cosa di strano e appena percettibile, più spirito e coraggio nello sguardo di quanto si è abituati a vedere.”

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«Noi leghiamo sempre troppo stretti i limiti della nostra personalità. Attribuiamo alla nostra persona soltanto ciò che ci appare individualmente diverso e differente. Ma noi, ognuno di noi è tutto il complesso del mondo, e come il nostro corpo ha in sé le tavole genealogiche dello sviluppo su su fino al pesce e più indietro ancora, così abbiamo nell’anima tutto ciò che mai è vissuto in anime umane. Tutti gli dèi e i diavoli che sono esistiti sia tra i greci e i cinesi, sia fra gli zulu, tutti sono dentro di noi come possibilità, come desideri o vie d’uscita. Se l’umanità si estinguesse tutta, tranne un unico bambino di mediocre intelligenza che non avesse avuto alcuna istruzione, questo bambino ritroverebbe intera la via delle cose e saprebbe riprodurre tutto, dèi e demoni, paradisi, leggi e divieti, antichi e nuovi testamenti.»

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“Ciò che verrà va oltre ogni immaginazione. L’anima europea è una bestia che visse incatenata un tempo infinito. Quando sarà libera i suoi primi moti non saranno dei più piacevoli. Ma poco contano le strade e i rigiri, purché venga alla luce la vera miseria dell’anima che da tanto tempo si cerca di nascondere e di smorzare con menzogne.
Allora verrà il nostro giorno, allora avranno bisogno di noi, non come capi o nuovi legislatori (noi non vedremo più le nuove leggi) ma come volonterosi pronti a metterci in cammino e ad andare dove il destino ci chiama.
Tutti gli uomini, ecco, sono disposti a fare l’incredibile quando vedono i loro ideali in pericolo. Ma nessuno si fa vedere quando un ideale nuovo, un nuovo e forse pericoloso moto di crescita bussa alla porta. I pochi pronti a marciare saremo noi. Per questo siamo segnati, come Caino era segnato affinché suscitasse odio e paura e spingesse l’umanità di allora da un idillio ristretto verso pericolose lontananze. Tutti gli uomini che hanno influito sull’andamento dell’umanità erano, senza distinzione, capaci e attivi perché pronti a subire il loro destino.”

– Capraeeeeelefante

 

Le onde // Virginia Woolf

È con immenso piacere che vi presentiamo la nuovissima rubrica “Frammenti” tenuta da Capraeeeelefante. Si tratta di recensioni di libri un po’ particolari: viene presentato il libro scelto attraverso dei frammenti del libro stesso connessi a un’immagine. Verrà pubblicata una recensione al mese. Per il mese di Gennaio, Capraeeeelefante vi propongono Le onde di Virginia Woolf.

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– Vedo un cerchio – disse Bernard, – che pende sulla mia testa. Oscilla e pende in un anello di luce.
– Vedo una macchia gialla – disse Susan, – che si allarga finché incontra una striscia viola.
– Sento un suono – disse Rhoda, – cip, cip, cip, cip; più forte, più piano.
– Vedo un globo sospeso – disse Neville, – che goccia sui fianchi enormi della collina.
– Vedo una nappa rosso cremisi – disse Jinny, – intrecciata di fili d’oro.
– Sento qualcosa che scalpita – disse Louis. – Una bestia enorme è tenuta per il piede in catena. Scalpita, scalpita, scalpita.
– Guardate la ragnatela all’angolo del balcone – disse Bernard. – Contiene delle perle bianche, delle gocce di luce bianca.
– Le foglie si raccolgono intorno alla finestra come orecchie appuntite – disse Susan.
– Un’ombra cade sul sentiero – disse Louis, – sembra un gomito piegato.
– Isole di luce nuotano nell’erba – disse Rhoda. – Piovono dagli alberi.

le onde 2

Una notte, una stella corre veloce sopra le nubi, e le dissi: “Consumami”. Fu in piena estate, dopo la festa in giardino e l’umiliazione di quella festa. Il vento e la tempesta hanno dato il colore a luglio. Ma cadaverica, orrenda ci fu nel mezzo la pozzanghera grigia, giù in cortile, e io con una lettera in mano, che portavo un messaggio. Arrivai alla pozzanghera. Non riuscii ad attraversarla. Persi l’identità. Non siamo nulla, mi dissi, e crollai. Volai via come una piuma, vorticai dentro a un tunnel. Più con grande cautela spinsi avanti un piede, mi appoggiai con una mano al muro di mattoni rossi. Ritornai in me con grande fatica, rientrai nel mio corpo, superai la pozza grigia, cadaverica. Ecco la vita a cui mi consegno.

le onde 3

Lascia allora che io ti crei. (Tu hai fatto altrettanto per me.) In questa bella, chiara giornata di ottobre che sta ormai finendo, sei disteso su questa sponda assolata e guardi le barche che scivolano via tra i rami pettinati del salice. E vorresti essere un poeta, ti piacerebbe essere un amante. Ma sono proprio la splendida chiarezza della tua intelligenza, l’onestà spietata del tuo intelletto a bloccarti. Non indugi in mistificazioni. Non ti nascondi dietro a nuvole rosate, o gialle. Ho ragione? Ho interpretato correttamente il gesto impercettibile della tua mano sinistra? Se è così, dammi le tue poesie; consegnami i fogli che hai scritto la notte scorsa in un tale fervore ispirato che ora un po’ ti vergogni. Perché non ti fidi dell’ispirazione, né della tua, né della mia. Insieme, attraverso il ponte, passando sotto gli olmi, torniamo nella mia stanza, dove, chiusi da pareti, con le tende di sargia rossa tirate, ci difenderemo dalle voci che vi distraggono, dai profumi e dagli aromi del tiglio, dalle altre vite.

le onde 4

– È odio, è amore – disse Susan. – È un torrente infuriato nero-carbone che dà il capogiro solo a guardarlo. Ci teniamo su una sporgenza, ma se guardiamo giù, ci vengono le vertigini.
– È amore – disse Jinny, – è odio, come quello che prova per me Susan, perché una volta ho baciato Louis in giardino, perché, per come mi presento, appena arrivo lei subito pensa: “Le mie mani sono rosse”, e le nasconde. Ma l’odio tra di noi quasi non so distingue dall’amore.

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– Ho vinto – disse Jinny. – Ora tocca a te. Io mi devo buttare a terra, ansimo. A forza di correre non ho più fiato, tale è l’ansia del trionfo. A forza di correre, per il trionfo, mi si è svuotato. Il sangue dev’essere rosso acceso, ribolle, pulsa. Le piante dei piedi mi prudono, come se dentro vi si aprissero e chiudessero anelli di ferro. Vedo distintamente ogni filo d’erba. Ma dietro la fronte, dentro gli occhi, qualcosa batte così forte, che tutto fuori danza – la rete, l’erba; le facce svolazzano come farfalle, gli alberi sembra che saltino su e giù. Non c’è niente di fermo, niente di stabile, in questo universo. Tutto freme, tutto vibra, tutto è velocità e trionfo. Ma poi, quando distesa sulla terra dura, vi guardo giocare, comincio a provare il desiderio di essere prescelta, convocata, chiamata da qualcuno che viene a cercarmi, perché è attratto da me, non può starmi lontano, e mi si avvicina mentre sto seduta sulla mia bella sedia dorata, con la gonna che mi si forma intorno come un fiore. E ritirandoci in un’alcova, oppure soli sul balcone, parliamo.

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– In questo silenzio – disse Susan, – nessuna foglia, pare, cadrà mai, nessun uccello canterà.
– Come se fosse successo un miracolo – disse Jinny, – e la vita si fosse fermata qui e ora.
– E non avessimo – disse Rhoda – più tempo da vivere.
– Ma ascoltate – disse Louis – il mondo, come muove attraverso gli abissi dello spazio infinito. Rimbomba. La striscia illuminata dalla sstoria è trascorsa e così i Re e le Regine. Noi siamo morti, la nostra civiltà, il Nilo, la vita tutta. Le nostre gocce, separate, si sono dissolte. Siamo tutti estinti, dispersi nell’abisso del tempo, nelle tenebre.
– Il silenzio cade, il silenzio cade – disse Bernard. – Ma ora ascoltate. Tic, tic, tuh, tuh: il mondo ci chiama di nuovo. Per un attimo, mentre passavamo al di là della vita, ho sentito i venti ululanti dell’oscurità. Poi tic, tic, tic (l’orologio), poi tuh, tuh (le macchine). Siamo atterrati. Siamo a riva. Siamo seduti tutti e sei intorno a un tavolo. È la memoria del mio naso che mi richiama a me stesso. Mi alzo: “Combatti!” grido; “Combatti!”, ricordandomi della forma del mio naso, e sbatto con fare pugnace il cucchiaio sulla tavola.”

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– Libera da scontri e collisioni, navigo sola bordeggiando bianche scogliere. Ma ecco che affondo, sprofondo. Quello è lo spigolo della credenza, questo è lo specchio della camera dei bambini. Ma s’allargano, s’allungano. Affondo nelle piume nere del sonno; le sue ali pesanti mi chiudono gli occhi. Traversando l’oscurità vedo le aiuole allungate, e la signora Constable che sbuca dal giardino erboso per dirmi che mia zia è venuta a prendermi. Oh, come vorrei svegliarmi dal sogno! Ecco, lì c’è il cassettone. Potessi strapparmi da queste acque! Invece si accumulano, mi si rovesciano addosso, mi sballottolano, io precipito, e mi ritrovo distesa tra queste luci lunghe, queste onde lunghe, questi sentieri senza fine, tra gente che spinge, che spinge.

– Capraeeeeelefante